Noi tutti siamo nati dal suo cuore sacerdotale.

Nella ricerca che desideriamo fare per capire un po’ di più Giaquinta fondatore, ci è offerta l’affermazione di Giuliana Spigone: “Noi tutti siamo nati dal suo cuore sacerdotale”, riferendosi all’intera famiglia ecclesiale da lui nata. Una sintesi essenziale che illumina quel passaggio dal servizio pastorale a un evento fondativo; un’intuizione potremmo dire ispirata che esprime quella generazione carismatica operata da Giaquinta per il dono dello Spirito in forza del ministero ordinato.

“Tutti i fondatori sono mistici”, ha detto Benedetto XVI, hanno cioè un particolarissimo rapporto con Dio, per il quale possono dar vita a nuove forme di impegno cristiano e indicare vie inesplorate di santità. Ma ciascun fondatore ha un’impronta propria, attinge la ricchezza specifica del carisma a lui donato dalla sua personale vocazione.

Nella Chiesa ci sono tanti tipi di fondatori: coloro che si caratterizzano per lo stato religioso o per la condizione laicale; padre Guglielmo è fondatore in quanto sacerdote, vivendo innanzitutto la sua chiamata di “alter Christus” e radicalizzando il suo servizio ministeriale.

 

Se è stato definito “apostolo della santità” per la sua infaticabile azione profetica e propositrice della santità, è perché ha allargato lo sguardo sulla Chiesa e su tutta l’umanità, ne ha colto l’aspirazione più profonda presente in ogni componente e ha sentito l’urgenza di coinvolgere in questa missione sconfinata quanti più possibile: sacerdoti come lui, uomini impegnati nel sociale, donne consacrate nel mondo o sposate, e poi laici di tutte le età e condizioni.

Per comprendere la dinamica fondativa di Giaquinta, oltre che riconoscere i segni di una predilezione con cui il Signore lo ha sospinto lungo la sua vita, dobbiamo ripercorrere rapidamente la genesi e lo sviluppo della sua opera.

Giovane prete, nella Roma dell’immediato dopoguerra, “città aperta” per le ferite di morte e di povertà, don Guglielmo guarda in faccia il dramma sociale e umano e si rende conto che la ricostruzione non può essere solo materiale ed economica, è un fatto che deve partire dal di dentro della persona. Si dedica, dunque, a incontri con i giovani e alla loro formazione, tornando alla fede, non quella consolatoria quanto piuttosto quella energica che chiede radicalità di impegno e apre le porte ad una speranza nuova.

 

Il coinvolgimento è promettente e la proposta si fa esigente: il cammino interiore ha come meta la santità di Dio. Nascono i primi gruppi Pro Sanctitate; alcune ragazze scoprono la bellezza di dedicarsi totalmente a questo ideale e inizia l’esperienza di vita fraterna delle consacrate. Nel frattempo don Giaquinta instaura un rapporto di forte condivisione con molti confratelli nel sacerdozio, che permetterà l’apertura missionaria anche in altre città e nazioni e la creazione del gruppo sacerdotale alla luce della spiritualità del Cenacolo.

 

L’impronta data finora alla fondazione era soprattutto di tipo ecclesiale: si era concluso l’evento del Concilio Vaticano II, che ne aveva confermato lo spirito e la consistenza, cominciava a farsi sentire il vento nuovo del sessantotto. L’ormai monsignor Giaquinta struttura attorno a sé un gruppo di uomini che assumono la vocazione alla santità come impegno sociale e anche politico nel nome del grande principio della fraternità universale.

 

Intanto l’aggregazione laicale aperta a tutti viene approvata ufficialmente come Movimento Pro Sanctitate; contemporaneamente le Oblate Apostoliche vedono fiorire tra le loro fila donne sposate dedite all’apostolato della santità a partire dalla famiglia, così minata alle fondamenta. Fino all’ultimo l’anziano fondatore segue queste realtà da lui nate e diffuse un po’ dappertutto nel mondo; con tenerezza di padre mantiene i contatti con le persone che formano la sua famiglia allargata.

 

È una carrellata troppo veloce, questa che abbiamo tracciata, per conoscere i risvolti profondi dei circa cinquant’anni vissuti dal “padre” accanto ai suoi figli. Ma non è difficile concludere che la sua è stata una fondazione sacerdotale. Prima di tutto perché era sacerdote, con la grazia che gli era conferita dal sacramento dell’Ordine; e lo è stato radicalmente fino in fondo, trasformando il ministero in una sorta di paternità spirituale esercitata quotidianamente nel dono di sé senza misura, generando con gioia persone e comunità di persone al gusto della vita in Dio.

 

La sua, poi, è stata una fondazione sacerdotale anche perché ha voluto imprimere in essa quel tratto che è proprio dei ministri della Chiesa ma che si apre all’esperienza di ogni uomo di buona volontà: la dimensione dell’offerta come “sacrificio di soave odore”. Un gesto liturgico sull’altare, che diventa ogni giorno storia di disponibilità moltiplicate all’infinito perché attraverso la strumentalità umana sia resa possibile la storia della salvezza. E la santificazione universale.

 

Colpisce come l’intuizione iniziale di una spiritualità che si fa vita incarnata, pur nel necessario approfondimento della proposta e nel progressivo adeguamento alle esigenze dei tempi, sia rimasta sempre fedele a se stessa e abbia costituito il nucleo centrale della struttura che si andava arricchendo di nuove forme. Dalla composizione sorprendente di questi due elementi riconosciamo la paternità dilatata di Giaquinta fondatore. E con la capacità di vivere e far vivere il suo carisma di fondazione confermiamo l’opera di Dio in lui.

 

 

Marialuisa Pugliese  

fonte: “Il Massimalismo”, giugno 2011