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Il bambino con la faccia nella sabbia si chiama Aylan ha 3 anni e scappa dalla Siria in guerra. Si chiama Aylan è vero, in italiano non possiamo tradurlo, ma è Marco, Matteo, Filippo, Jacopo, è uno di quei bambini che a tre anni ha solo il diritto sacrosanto di sporcarsi il musetto con il latte e di giocare con i biscotti tra le mani fino a ridurli in poltiglia appiccicosa.
Si chiama Aylan e ci chiama, come il suo fratellino Galip di 5 anni anche lui morto, ci grida di fermarci. Ci grida di non essere vili e di non lasciarci travolgere sempre da uno strazio momentaneo e mediatico e poi più nulla. La foto sulla spiaggia di Bodrum e il piccolo corpo senza vita bagnato dalle onde e' di una lucidità notturna, appare alle madri che vorrebbero gridare o solo chinare il capo e lasciarsi travolgere dal pianto, appare ai padri che possono solo desiderare di sollevare Aylan dalla sabbia e trovarlo ancora vivo. Su una spiaggia può morire un bambino ma non è solo, con lui muore tutta la comunità internazionale prima tra tutte quella europea, con lui si infrangono le nostre borghesi illusioni di poter fare qualcosa dal divano, con lui sono tutti i naufraghi che non hanno fotografie, con lui sono quelli che qualcuno chiama migranti e Dio chiama figli.
ActionAid Italia cita per questa ennesima morte Dostoevskij: "Hanno pianto un po', poi si sono abituati".
Nicoletta Sechi