Guardando il mondo con gli occhi della misericordia

 

Riportiamo il testo della lettera letta a Papa Francesco, a nome di tutti i consacrati e le consacrate, in occasione della Udienza tenuta il 1 febbraio 2016 a chiusura dell'anno ad essi dedicato.

In queste parole emerge forte il desiderio di una rinnovata alleanza, di una sempre più feconda fedeltà, e di una fiducia incondizionata.

        Sua Santità Papa Francesco,

        la chiusura dell’Anno della Vita consacrata e l’avvio del Giubileo della misericordia rappresentano una opportunità per rivisitare la grazia ricevuta e quella che il Signore continua a spandere sulla vita di ciascun consacrato, consacrata e su tutto il popolo di Dio.

        Quest’Anno è stato un regalo di Sua Santità a tutta la Chiesa e, senza dubbio, ha aperto cammini speranza, desiderio di dire al mondo che seguire Gesù è una gioia che porta a pienezza la vita, la riempie di senso e di significato, fino all’ultimo respiro. Noi tutti esprimiamo gratitudine dal più profondo del cuore a Sua Santità, Papa Francesco, per averci fatto questo magnifico regalo, per averci aiutati a riprendere fiduciosamente la via dei testimoni e dei profeti. Che grande opportunità è stata quella di poter condividere la bellezza della nostra vocazione e missione, sebbene non sempre la viviamo al massimo e a volte la oscuriamo, perché decidiamo di vivere scontenti, in un cono d’ombra.

       Le intenzioni che Sua Santità ha voluto per questo Anno sono chiare: lasciar trasparire la bellezza della vocazione dei consacrati e consacrate (cf Lettera di indizione dell’Anno della Vita consacrata). Non un anno per la conversione, sebbene sia sempre necessaria, ma una chiamata a rivitalizzare la gioia, la tenerezza e la speranza. Un Anno come tempo di grazia, spazio teologale dove sentirsi amati da Dio e dalla Chiesa, proiettati per mezzo dello Spirito all’uscita missionaria, come segno di un amore non rassegnato ma intriso di zelo e condivisione con i poveri e gli ultimi.

 

Cosa abbiamo compreso e maturato in questo Anno della vita consacrata? Il rischio sarebbe quello di dire le cose che abbiamo fatto, peccando di “mondanità spirituale” (EG 93), o fare la litania del non fatto; in realtà, il frutto più bello offertoci dalla Chiesa è riconoscere ciò che Dio ha fatto per noi:

  • ci ha amati con amore eterno, dimostrando di fidarsi di noi e per questo continuiamo ad impegnare la nostra vita;
  • ci ha guardati e noi ci siamo lasciati guardare (Mira que te mira - S. Teresa di Gesù), sperimentando che abitare nello stesso sguardo è la cosa più grande, quello che maggiormente riempie di gioia il cuore di Dio, perché sa di poter contare su di noi;
  • ci ha sussurrato che non è agitato per le nostre diminuzioni numeriche, perché è proprio del Vangelo credere nella forza insita nel piccolo seme, quando accetta di essere messo nel solco della terra e morire, per poter dare frutti di vita (Mc 4, 26-34);
  • ci ha fatto gioire, ricordandoci che le nostre rughe e i capelli bianchi e non sono segni di declino, ma tracce tangibili di una fedeltà, di una lotta, di una vita spesa con amore, “nascosta con Cristo in Dio” (Col 3, 3);
  • ci ha consolati ricordandoci che i giovani sono una grazia rigenerativa, vitale ed apportatrice di sangue nuovo al nostro carisma; 
  • ci ha rassicurati dicendoci che se non abbiamo alcun rilievo sociale non è un dramma ma una liberazione, purché non rinunciamo a sognare i sogni di Dio (Gen 28,12-17) ed investire la vita a favore dei più poveri, nella certezza che i carismi non finiranno con noi, perché non ci viene richiesto di “morire con dignità”, ma di vivere con senso, passione e fiducia;
  • ci ha rammentato che le comunità, le stesse opere, devono generare persone capaci di prendersi cura dell’uomo ferito (Lc 10,29-37), perché sta a cuore a Dio vederci nelle periferie esistenziali, alla mensa dei peccatori (S. Teresa di G.B. Manoscritto C di Storia di un’anima), dove la vita chiama per curare le ferite dell’uomo, carne tenerissima di Gesù Cristo;
  • ci ha sollecitati a svegliare il mondo, ad essere audaci rispetto alle mozioni dello Spirito, fiduciosi nel fatto che già ci ha dato cento volte più di quello che abbiamo lasciato (Mc 10.28-30).

        Per tutte queste ragioni, non è casuale che nella prospettiva di riforma che Lei Santità sta promuovendo l’Anno della Vita consacrata si intersechi con quello della Misericordia, mentre ci rimanda ad un più profondo significato ecclesiologico, come se ci ricordasse che il primo frutto del rinnovamento del popolo di Dio, di cui i consacrati e le consacrate sono parte, sia proprio quello della misericordia. Un anno, allora, quello della Vita consacrata, vissuto come tempo di discernimento, alla luce del troppo grande amore di Dio (Gv 3,16) e del suo amore spinto al massimo (Gv 13,2), come efficace cura evangelica, l’unica capace di generare la trasfigurazione della vita, delle strutture, degli stessi carismi fino alla piena configurazione cristica, fino ad avere in noi i sentimenti che furono in Cristo Gesù (Fil 2,1-11).

 

La grazia di quest’Anno della Vita consacrata, sta nel fatto che abbiamo compreso che siamo all’inizio di un cammino da condividere, che non siamo chiamati a competere, ad essere Golia (1 Sam 17,1-58), ma a rifare la storia di Maria di Nazareth, ad essere misericordia (Lc 1,46-55), un lembo di tenerezza su questa piccola parte di mondo, una carezza sul mondo.