Trasfigurare, voce del Verbo

Trasfigurare è una parola complessa, sicuramente difficile da accostare alla esperienza della quotidianità. La sento così lontana, credo, perché mi rimanda all’episodio evangelico della trasfigurazione, quello che mi hanno raccontato quando sedevo sui banchi del catechismo e che ho sempre fatto tanta fatica a comprendere fino in fondo. Mi riconduce all’immagine di quella straordinaria trasformazione di Gesù a cui solo i pochi eletti saliti sul monte con lui ebbero il privilegio di assistere.

 

Ma se rifletto su questa Voce del Verbo, espressa in forma attiva, mi accorgo che essa non richiama ad una trasfigurazione da guardare, ma ad una trasfigurazione da agire. Mi chiedo dunque cosa trasfigurare? Come? In che senso?

Trovo risposta ripensando alle parole di un Vescovo amico, Salvatore Boccaccio, quando raccontava che aveva insegnato ai parrocchiani a dirsi la messa da soli.

Erano i primissimi anni settanta, e per i fedeli della borgata romana di Palmarola la Messa era un lusso. Il fine settimana era dedicato a costruirsi casa, la Domenica era il giorno da trascorrere con la cazzuola in mano. Così il giovane prete, preoccupato che terminata la casa essi avrebbero smarrito del tutto il senso e il gusto del giorno del Signore, pensò di proporre loro una esperienza che aveva trovato, diceva lui, nel Vangelo, negli Atti degli Apostoli, nelle Lettere Apostoliche, negli insegnamenti del Concilio. Insegnava loro che essi stessi erano sacerdoti e che quindi avevano l’opportunità di vivere con amore la loro operosità e il privilegio di offrirla al Signore. Così la palanca di lavoro diventava un altare, come lo erano i tavoli da stiro, le cucine, i pavimenti delle donne che lavoravano in casa, a cui Don Salvatore ripeteva: Se lei Signora, che è sacerdote, [compie questi gesti] con amore, lei ha celebrato la sua la piccola messa di tutti i giorni.

Dirci la messa da soli è una espressione forte, a tratti addirittura irriverente, ma ci aiuta declinare al presente il verbo trasfigurare.

     Trasfigurare è offrire, chiedere o ricevere un abbraccio di riconciliazione e di perdono, compiere un passo di ritrovata amicizia, offrire l’opportunità di una rinnovata fiducia; sono gesti concreti di liturgia penitenziale, che genera frutti di distensione dei conflitti, di ritrovata serenità, di rinnovata energia.

     Trasfigurare è celebrare una liturgia della Parola, tutte le volte che nella vita sono disposta a metterla in pratica. Fino a prova contraria il Vangelo è il testo più rivoluzionario della storia, e ogni volta che mi sforzo di compiere le scelte che ne seguono la logica, sono certa che qualcosa cambia, sempre.

Quando sarebbe conveniente tacere, e scelgo di parlare.

Quando avrei voglia di puntualizzare e scelgo di tacere.

Quando trovo la libertà di mettermi dalla parte del più debole, senza accondiscendere all’arroganza del più forte.

     Trasfigurare è celebrare la Parola, imparando a guardare persone, situazioni, e avvenimenti alla luce del Vangelo: ad accogliere senza giudicare, ad andare incontro rompendo il freno del pregiudizio, a scendere in profondità senza perdermi nei labirinti della superficialità.

     Trasfigurare è fare quotidianamente memoria dei riti di offertorio, e quindi ricordare a me stessa che tutto è di Dio e che quanto possiedo non è conquista di merito personale, ma dono gratuitamente ricevuto. Questa memoria, se autentica, richiama alla logica della restituzione, che di fronte al bisogno di chi mi cammina accanto, demolisce la barriera dell’indifferenza e mi spinge a soccorrere, sostenere, donare.

   Trasfigurare è celebrare l’eucarestia di ogni giorno, quando sono disposta a sedere alla mensa della quotidianità e a condividere tempo, relazioni, bisogni e ricchezze con coloro che la vita mi pone accanto - come scelse di fare Gesù, seduto al tavolo del Cenacolo - e rinunciare allo sterile esercizio di stendere la lista dei buoni e dei cattivi, dei meritevoli e degli esclusi.

      Trasfigurare è riempire la mia giornata di gesti, scelte e parole autentici che compongono e arricchiscono questa liturgia quotidiana da imparare a curare con la stessa attenzione con la quale amiamo preparare, animare e vivere le nostre sacre liturgie. Altrimenti correremo il rischio di ritrovarci a compiere i riti avendone smarrito il senso, di pronunciare belle parole svuotate di significato, di affannarci continuamente senza compiere passi concreti.

     Trasfigurare è imparare a fare i conti con la distanza che separa l’ideale dalla realtà. Sapere che nel fiume che divide queste due sponde scorrono i miei limiti e i miei errori, gli inciampi, le fatiche e le sconfitte della vita. Lasciare che essi rinnovino in me la consapevolezza che ho bisogno di Dio, senza diventare un alibi per rinunciare a vivere un sogno.

Perché la santità non è vocazione di pochi eletti, traguardo segnato dai più capaci, ma invito sempre rinnovato a varcare la soglia di quella porta spalancata, oltre la quale Dio attende tutti coloro che si riconoscono figli.

Trasfigurare, voce del Verbo.

 

Giulia Sergiacomo 

Pescara - Convegno Diocesano - 9 settembre 2016