Il sogno di Gere

foto: repubblica.it
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Oggi ricorre un triste anniversario.

Il 3 ottobre 2013 un peschereccio salpato dalle coste di Misurata (Libia), affondò al largo delle coste di Lampedusa. A bordo vi erano oltre 500 persone. Uomini, donne e bambini, migranti dall'Eritrea in cerca di un futuro migliore.

Il bilancio drammatico di quella tragedia, portò a contare 366 morti accertate a cui si aggiunge la stima di circa 20 dispersi mai recuperati.

Ma da quel naufragio furono tratte in salvo 155 persone, restituite all'opportunità di un domani, dall'impegno e dalla dedizione di tanti italiani reclutati nella macchina dei soccorsi messa in moto e coordinata dalle forze armate. 

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Gere è uno di loro ed è tornato a Lampedusa, dove 25 superstiti di quel naufragio si sono ritrovati in questi giorni per raccontare le loro storie e, soprattutto, per chiedere che tanto orrore non si ripeta  mai più. Oggi Gere ha trent'anni, vive a Stoccolma e con il suo lavoro riesce ad aiutare anche i suoi famigliari rimasti in Eritrea.

«Mi chiedete se mi sento integrato, in Svezia dove vivo ormai da un paio di anni: la risposta è abbastanza. Devo ancora migliorare l'uso della lingua, ambientarsi non è facile per nessuno. Alla fine succede che noi eritrei ci frequentiamo solo tra di noi. Gli svedesi ci trattano bene, non sento insofferenza, ma sanno anche come mantenere le distanze. Mi chiedete se mi sento europeo: la risposta non ce l'ho, sono io che sono venuto in Europa, non l'Europa che è venuta in Africa. Un grande sogno? Tutti ne hanno uno. Anch'io ce l'ho, ma lo tengo per me.»

Accanto a chi è tuo fratello perché nato da una stessa carne, c'è un numero infinito di uomini che sono, essi pure, tuoi fratelli.

Molti hanno fame: non li ignorare; ammalati: non li abbandonare; bisognosi di una casa che non sia capanna o tugurio o anche il freddo di un cielo stellato o piovoso: fai qualcosa per essi.

Tanti piccoli potrebbero, istruiti e curati, guardare sereni al domani se tutti gli uomini li sentissero figli e fratelli.

Non siamo nati per odiarci e combatterci ma per amarci e aiutarci. Non può quindi essere la violenza, la divisione, l'ingiustizia e la lotta la legge fondamentale dell'umanità che deve invece sforzarsi di attuare il sogno di una  ‘fraternità universale’ capace di ignorare o superare qualsiasi barriera. Solo l'unità fraterna potrà salvare il nostro domani di uomini liberi. (Guglielmo Giaquinta - Fraternità, 1973)

 

Possiamo dare insieme una risposta al sogno di Gere.