Perdonare è la vera risposta al male subito

La cronaca di questi giorni si è tinta di nero per l'omicidio di Vasto (in provincia di Chieti). Un uomo è stato fermato nei pressi della tomba della moglie. Vi aveva deposto sopra la pistola con la quale poco prima, davanti a un bar aveva ucciso il ventenne che sette mesi fa, ad un incrocio stradale, investì e uccise la sua amata compagna. L'errore, il dolore, la giustizia, la vendetta. Un intreccio di elementi che lascia spezzate tre vite e che interpella fortemente la responsabilità della comunità virtuale che per mesi, nel chiedere la giustizia per la vittima della strada, ha fomentato sentimenti di odio e di rivalsa. 

Dietro questo dramma si snoda l'eterno dilemma della giustizia - quando degenera nel desiderio di vendetta - e del perdono. Le parole di Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti, aiutano a riflettere.

La riflessione che mi sta più a cuore nella valutazione dei fatti avvenuti è, quella riguardante i temi della vendetta e del perdono. Ho affermato nel mio comunicato: «La vendetta non è mai giustizia. La vendetta produce solo ulteriore sofferenza e altri mali». Farsi giustizia da sé è anzitutto moralmente sbagliato, ma anche del tutto inutile e anzi gravemente dannoso: la catena del male, del risentimento e dell'odio si spezza solo rifiutando decisamente di ricorrere all'uso della violenza, per affidarsi con fiducia al corso della giustizia. È qui che va temuta e rifiutata ogni delegittimazione del potere giudiziario nella vita di una democrazia compiuta, come vorremmo fosse quella della nostra Italia: è vero che nello scenario pubblico del Paese non è stato raro in questi anni vedere un protagonismo dei giudici che ha potuto essere oggetto di critiche, come è anche vero che il passaggio di non pochi magistrati alla vita politica ha potuto ingenerare equivoci. Tuttavia, l'equilibrio dei poteri - legislativo, esecutivo e giudiziario - e il loro reciproco rispetto sono un cardine della vita democratica, cui occorre ispirarsi da parte di tutti: solo così quella fiducia nella giustizia degli uomini, che va considerata bene prezioso per la vita serena e ordinata di tutti, trova il suo proprio terreno di coltura. E solo così il no etico alla vendetta mostra anche la sua valenza sul piano delle relazioni sociali e della crescita dell'intera società civile. I populismi si svuotano di senso e di forza quando l'equilibrio accennato è mantenuto e il valore dell'esercizio della magistratura è rispettato, tutelato e promosso. Riguardo agli eventi di Vasto, va insomma ribadito quanto ho affermato nel mio comunicato: «Giustizia non è mai giustizialismo, né quel movimento di opinione, legittimo in sé, poteva giustificare l'uso della violenza su colui che era stato responsabile dell'incidente».

Sorge qui la domanda su quale sia allora l'atteggiamento etico e spirituale da coltivare e sostenere di fronte a atti come quelli intrecciatisi nel caso della morte di Roberta e dell'assassinio di Italo: la mia risposta convinta è che solo il perdono può avere qui efficacia. Non si tratta in alcun modo di sollecitare un buonismo facile o di minimizzare i termini dei tragici fatti avvenuti: l'appello alle coscienze è ben più radicale e profondo di un semplice stato d'animo. Se la vendetta produce solo altro male, il perdono libera anzitutto chi si sente colpito da quel veleno del risentimento e dell'odio che giunge ad accecare la mente, aiutando a ristabilire non solo la convivenza civile, ma perfino quella collaborazione fra colpevole pentito e vittima, che alla lunga rende migliori tutti e produce un salto di qualità morale nella vita sociale. Poco prima di scrivere queste riflessioni, ho avuto occasione di rileggere un passaggio della testimonianza resa davanti ai carnefici da San Paolo Miki, uno dei martiri giapponesi, vittime delle terribili persecuzioni anticristiane avvenute in quel Paese fra il XVI e il XVII secolo. Diceva dunque il giovane cristiano nell'atto di affrontare la morte ingiustamente subita: «Giunto a questo istante, penso che nessuno tra voi creda che voglia tacere la verità. Dichiaro pertanto a voi che non c'è altra via di salvezza, se non quella seguita dai cristiani. Poiché questa mi insegna a perdonare ai nemici e a tutti quelli che mi hanno offeso, io volentieri perdono all'imperatore e a tutti i responsabili della mia morte, e li prego di volersi istruire intorno al battesimo cristiano». Perdonare e invitare a orientare la vita a Dio è la vera risposta al male subito, la sola capace di rendere migliore la vita di tutti, a cominciare da quella di chi è stato colpito nei suoi affetti nel modo più grave e doloroso possibile.

 

Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti - Vasto

fonte: ilcentro.it