La Panchina

Il vento, in genere, scuote ma non calpesta il germoglio del prato; questo invece può farlo chi vi passa sopra con piede incauto. Credi tu che la vita di un giovane che arrivi al sacerdozio sia priva di ostacoli e di difficoltà?

 

    Entrare in seminario era troppo arduo per le finanze della mia famiglia e iniziai così il semiconvitto. Il che significava alzarmi prestissimo e poi raggiungere le scuole presso S. Pietro. Al ritorno prendevo il tram 36 che mi lasciava a Porta Maggiore dove salivo sulle “vicinali” (o andavo a piedi) per raggiungere la mia casa. 

 

   Una sera, sceso dal tram, mi misi a sedere su una panchina di pietra, con la mia borsa di scolaro. Perché? Non lo ricordo più. Mi si avvicinò un anziano sacerdote e si mise a sedere accanto a me, chiedendomi gentilmente chi fossi e che facessi. Gli raccontai, gioioso, la mia storia ed egli mi ascoltò in silenzio.

Poi iniziò lui: ma lo sai cosa devono fare i preti? Devono ubbidire al Vescovo e perfino cambiargli le scarpe durante la Messa. Aggiunse ancora altre cose che non ricordo, ma che mi impressionarono. Arrivai a casa stravolto. Papà se ne accorse e quando seppe dell’accaduto voleva andare a Porta Maggiore. Ma quel prete, dove trovarlo più?

 

   Rimasi con il mio turbamento e con l’immagine delle scarpe del Vescovo da cambiare. Solo in seguito seppi che si trattava di un innocuo rito liturgico, ormai scomparso. Il tempo, capace di levigare tutto, attutì la dolorosa impressione e addolcì la mia tempesta interiore.

 

  Quel prete incauto avrebbe potuto schiacciare il tenero germoglio e fu grazia di Dio se questo non avvenne. Ma questa, e le tante altre difficoltà dello sviluppo di una vocazione, chi le conosce se non chi le sperimenta?

                                                                            da “Il Massimalismo”, n. 9, febbraio 1989