Luogo di Fraternità o di sopravvivenza: la città

Oggi nulla, nessun soggetto, nessun argomento, è come nel passato.

Tutto si trasforma e corre, senza sapere bene dove e perché. Per analizzare un problema si deve avere lo sguardo allargato e attenzione a molti particolari, occorre approfondire e leggere molto per comprendere la complessità.

Città di fraternità o di sopravvivenza? Pensate la città più grande del mondo: New York, la città che non dorme mai, con i suoi 11.875 chilometri quadrati. Pensate alle nove città al mondo che superano i 20 milioni di abitanti, e la corsa verso le città continua. In campagna tutti trovano da mangiare e da ripararsi, ma il miraggio è sempre la città.

E’ un salto di civiltà che cambia in profondità i rapporti umani, la cultura, il vivere familiare, l’economia, la vita dei singoli, uomini e donne. La globalizzazione, anche nei grandi agglomerati urbani, polverizza e disarticola le comunità umane, allenta i legami di prossimità. La città globale perde il suo centro e si periferizza, diventa tutta periferia.

In questo orizzonte urbano e globale, dalle radici antiche ma abitato da processi inediti, è giusto proporre la domanda: Dio vive qui?

Ignorare la portata antropologicamente trasformatrice della globalizzazione è spesso vivere e pensare come se la storia passasse invano. Il vero problema che accompagna il secolo delle città, questo nostro Duemila, è soprattutto la globalizzazione ovvero la nuova dimensione urbana e sociale con cui la Chiesa, la vita cristiana e la fede in Dio, debbono fare i conti.

Carlos Maria Galli, sacerdote e teologo, docente all’università Cattolica Argentina, ha lavorato al fianco del cardinale Jorge Mario Bergoglio alla stesura del documento di Aparecida (in Italia edito dalla Libreria Vaticana “Dio vive in città – Verso una nuova pastorale urbana alla luce del Documento di Aparecida”). Lo studio di Galli è diretto a ripensare radicalmente la demonizzazione della città come luogo dell’assenza di Dio a favore della riscoperta della città quale ambiente da cui partire per un nuovo modello di spiritualità e di evangelizzazione.

Perché Dio vive nella città! Vive nella città contemporanea, quella di donne e uomini così diversi dai cristiani devoti di altre generazioni. La città contemporanea appare l’incarnazione della crescita del mondo, quella della tecnoscienza e della padronanza dell’uomo sulla vita, ma anche la realtà viva dell’agglutinarsi problematico dei drammi della società.

In questa città sembra non ci sia più spazio per Dio, per la vita di fede, se non in qualche angolo ben riparato. Parrebbe, a prima vista, che Dio abbia lasciato la Babele umana, quella città costruita dall’uomo per farsi grande ed esaltarsi. Nel 2007, per la prima volta nella storia umana, la popolazione delle città supera quella delle campagne, a livello mondiale. L’umanità vive nelle città, anche per la loro forza attrattiva.    

     

Dio è uscito dalle città?    

                                                 

Pensare Dio fuori delle città esprime un pensiero che viene da lontano: è quello dell’affermazione della modernità laica e secolare contro la Chiesa e la fede, la città come spazio del disincanto.

E la secolarizzazione avanza con la modernità, secondo un assioma che soggiace a tanto pensiero pubblico, o del nostro secolo: dove cresce la modernità, indietreggia la religione, perché inevitabilmente le persone si secolarizzano, anzi l’insieme della società diventa secolare.           

Questa lettura non è stata solo propria del mondo laico, ma è stata anche assunta da molti cristiani e dalle loro Chiese: ha informato una pastorale difensiva in certe stagioni o ha spinto alla missione evangelizzatrice in altre, in alcuni momenti ha poi generato una lettura pessimistica del presente.

Dovremo fare un nuovo esodo dentro la secolarità urbana.

In questo rinnovato quadro di convivenza umana non si possono riproporre modalità e strutture di vita della Chiesa che appartengono a tempi passati. La Chiesa oggi non è chiamata ad una “battaglia” ideologica contro la secolarizzazione, ma ad una conversione pastorale rivolta alla nuova situazione dell’uomo e della donna contemporanei stimolati da tante sollecitazioni e incapaci di fare chiarezza.

Il cardinal Bergoglio, già nel 2011, sosteneva che “Dio vive nella città e  la Chiesa vive nella città. La missione non si oppone a cercare di vivere la città, dalle sue culture ai suoi cambiamenti, mentre noi usciamo a predicarle il Vangelo”. Occorre uscire dalla sacrestia e dalle nostre case.

La Chiesa ha la missione di evangelizzare gli uomini e le donne, i giovani e i loro genitori, ma deve anche capirli e porsi in atteggiamento di ascolto verso le sue tante voci. Voci che nascondono il disagio di non saper scegliere la “verità”.

Si tratta di aprirsi ad altri percorsi religiosi e umani, sentirsi lontani da ogni pessimismo ideologico verso la secolarizzazione, ma anche dall’idea che la secolarizzazione sia una “provvidenza” che traghetta il mondo della fede verso modelli più moderni.

La religione fra i grattacieli esiste e c’è fame di essa, ma sono richieste modalità e strutture diverse, rivolte ai tempi nuovi.

Gesù andava lungo le strade e parlava con tutti, è venuto per i malati non per i sani, per quelli in difficoltà e non per chi sa già tutto. Gesù rispondeva ad ogni invito, ad ogni richiesta.

Tutti viviamo momenti difficili, magari anche umilianti, ma poche volte sappiamo  tradurli in preghiera, che ci liberi dall’amarezza e ci apra alla fiducia.

Questo puo’ e deve succedere nella città, dove possiamo offrire questo tempo di esperienza e di preghiera.

La tentazione di fuggire davanti alla novità e alla fatica non deve trovarci imprigionati  in uno sterile vittimismo.

Il Signore ci chiede amore riconoscente e operoso, il perdono di tutte le offese e le dimenticanze, la riconciliazione e il servizio ai fratelli, secondo i tempi in cui viviamo, come vera promessa per la nostra esistenza.

Nella cultura religiosa abbiamo provato ad esorcizzare tutti i momenti difficili, ma la sofferenza e l’abbandono di tanta gente delle città, di tutti i poveri senza lavoro o senza affetti, tramite l’aiuto di fratelli che hanno cuore per amare e orecchi per ascoltare, possono trasformarsi in preghiera e speranza comune nella giustizia di Dio.

 

Se non facciamo questo cammino come aiuto ai fratelli, la storia diventa un assurdo e la fede un cicaleccio di buoni sentimenti che non aiuta nessuno a vivere.

 

Piero Z. Saffirio