Maria, la influencer di Dio

La salvezza che Dio ci dona è un invito a far parte di una storia d’amore che si intreccia con le nostre storie; che vive e vuole nascere tra noi perché possiamo dare frutto lì dove siamo, come siamo e con chi siamo. Lì viene il Signore a piantare e a piantarsi; è Lui il primo nel dire “sì” alla nostra vita, Lui è sempre il primo. È il primo a dire “sì” alla nostra storia, e desidera che anche noi diciamo “sì” insieme a Lui. Lui sempre ci precede, è il primo.

E così sorprese Maria e la invitò a far parte di questa storia d’amore. Senza dubbio la giovane di Nazaret non compariva nelle “reti sociali” dell’epoca, lei non era una influencer, però senza volerlo né cercarlo è diventata la donna che ha avuto la maggiore influenza nella storia. 

E le possiamo dire, con fiducia di figli: Maria, la “influencer” di Dio. Con poche parole ha avuto il coraggio di dire “sì” e confidare nell’amore, a confidare nelle promesse di Dio, che è l’unica forza capace di rinnovare, di fare nuove tutte le cose. E tutti noi, oggi, abbiamo qualcosa da rinnovare dentro. Oggi dobbiamo lasciare che Dio rinnovi qualcosa nel nostro cuore. Pensiamoci un po’: che cosa voglio che Dio rinnovi nel mio cuore?

Sempre impressiona la forza del “sì” Maria, giovane. […] Maria, indubbiamente, avrebbe avuto una missione difficile, ma le difficoltà non erano un motivo per dire “no”. Certo che avrebbe avuto complicazioni, ma non sarebbero state le stesse complicazioni che si verificano quando la viltà ci paralizza per il fatto che non abbiamo tutto chiaro o assicurato in anticipo. Maria non ha comprato una assicurazione sulla vita! Maria si è messa in gioco, e per questo è forte, per questo è una influencer, è l’influencer di Dio! Il “sì” e il desiderio di servire sono stati più forti dei dubbi e delle difficoltà.

Questa sera ascoltiamo anche come il “sì” di Maria riecheggia e si moltiplica di generazione in generazione. Molti giovani sull’esempio di Maria rischiano e scommettono, guidati da una promessa. Grazie, Erika y Rogelio, per la testimonianza che ci avete donato. Sono stati coraggiosi questi due! Meritano un applauso. Grazie! Avete condiviso i vostri timori, le difficoltà, tutto il rischio vissuto prima della nascita di Ines. A un certo punto avete detto: “A noi genitori, per diverse ragioni, costa molto accettare l’arrivo di un bimbo con qualche malattia o disabilità”, questo è sicuro, è comprensibile. Ma la cosa sorprendente è stata quando avete aggiunto: “Quando è nata nostra figlia abbiamo deciso di amarla con tutto il nostro cuore”. Prima del suo arrivo, di fronte a tutte le notizie e le difficoltà che si presentavano, avete preso una decisione e avete detto come Maria “avvenga per noi”, avete deciso di amarla. Davanti alla vita di vostra figlia fragile, indifesa e bisognosa la vostra risposta, di Erika e Rogelio, è stata: “sì”, e così abbiamo Ines. Voi avete avuto il coraggio di credere che il mondo non è soltanto per i forti! Grazie! […]

Grazie, Alfredo, per la tua testimonianza e il coraggio di condividerla con tutti noi. Mi ha molto colpito quando hai detto: “Ho iniziato a lavorare nell’edilizia fino a quando terminò quel progetto. Senza impiego le cose presero un altro colore: senza scuola, senza occupazione e senza lavoro”. Lo riassumo nei quattro “senza” per cui la nostra vita resta senza radici e si secca: senza lavorosenza istruzionesenza comunitàsenza famiglia. Ovvero una vita senza radici. Senza lavoro, senza istruzione, senza comunità e senza famiglia. Questi quattro “senza” uccidono.

È impossibile che uno cresca se non ha radici forti che aiutino a stare bene in piedi e attaccato alla terra. È facile disperdersi quando non si ha dove attaccarsi, dove fissarsi. Questa è una domanda che noi adulti siamo tenuti a farci, noi adulti che siamo qui, anzi, è una domanda che voi dovrete farci, voi giovani dovrete fare a noi adulti, e noi avremo il dovere di rispondervi: quali radici vi stiamo dando?, quali basi per costruirvi come persone vi stiamo offrendo? E’ una domanda per noi adulti. Com’è facile criticare i giovani e passare il tempo mormorando, se li priviamo di opportunità lavorative, educative e comunitarie a cui aggrapparsi e sognare il futuro! Senza istruzione è difficile sognare un futuro; senza lavoro è molto difficile sognare il futuro; senza famiglia e senza comunità è quasi impossibile sognare il futuro. Perché sognare il futuro significa imparare a rispondere non solo perché vivo, ma per chi vivo, per chi vale la pena di spendere la mia vita. E questo dobbiamo favorirlo noi adulti, dandovi lavoro, istruzione, comunità, opportunità. […]

Lo sappiamo bene, non basta stare tutto il giorno connessi per sentirsi riconosciuti e amati. Sentirsi considerato e invitato a qualcosa è più grande che stare “nella rete”. Significa trovare spazi in cui con le vostre mani, con il vostro cuore e con la vostra testa potete sentirvi parte di una comunità più grande che ha bisogno di voi e di cui anche voi, giovani, avete bisogno.

E questo i santi l’hanno capito bene. Penso per esempio a Don Bosco che non se ne andò a cercare i giovani in qualche posto lontano o speciale Don Bosco non è andato a cercare i giovani in qualche posto lontano o speciale; semplicemente imparò a guardare, a vedere tutto quello che accadeva attorno nella città e a guardarlo con gli occhi di Dio e, così, fu colpito da centinaia di bambini e di giovani abbandonati senza scuola, senza lavoro e senza la mano amica di una comunità. […] I giovani bisogna guardarli con gli occhi di Dio. Lui lo fece, Don Bosco, seppe fare il primo passo: abbracciare la vita come si presenta; e, a partire da lì, non ebbe paura di fare il secondo passo: creare con loro una comunità, una famiglia in cui con lavoro e studio si sentissero amati. Dare loro radici a cui aggrapparsi per poter arrivare al cielo. Per poter essere qualcuno nella società. Dare loro radici a cui aggrapparsi per non essere abbattuti dal primo vento che viene. Questo ha fatto Don Bosco, questo hanno fatto i santi, questo fanno le comunità che sanno guardare i giovani con gli occhi di Dio. Ve la sentite, voi grandi, di guardare i giovani con gli occhi di Dio? […]