Indipendenze, conversazione informale sulle droghe e sulla libertà - ciclo di Incontri “Presenze Sociali”

Il 17 novembre il Centro Operativo di Roma ha inaugurato il ciclo di Incontri “Presenze Sociali”, finalizzato a orientarsi nell’attuale società liquida su temi significativi nel nostro tempo.  Nella Parrocchia di San Clemente, grazie all’ospitalità offerta dal parroco Don Remo, si è partiti con un incontro dal titolo “Indipendenze, conversazione informale sulle droghe e sulla libertà”.  È stato un incontro molto partecipato, condotto dall’associato Silvio Rossi, che è psicologo con esperienza di molti anni nel campo delle dipendenze, con l’aiuto come facilitatori della serata e animatori del dibattito Serenella Corvo e Paola Procaccini. Qui vorremmo riportare sinteticamente alcuni punti trattati.

 

Quando si discute di dipendenze bisogna fare una scelta precisa: La prima opzione è percorrere una strada di approfondimento “tecnico” ed affrontare i diversi tipi di dipendenze mostrando per ognuno i meccanismi di funzionamento e le caratteristiche, gli effetti, ma è una strada impervia, lunga e destinata soprattutto agli specialisti in materia. Oppure scegliere un percorso che va al cuore del fenomeno, mostrandone il significato profondo, così da rendere utile e fruibile il discorso per chi si occupa di educazione. Abbiamo deciso per questa seconda possibilità.

I punti intorno ai quali ha ruotato la riflessione sono stati tre: si può essere dipendenti da qualsiasi cosa, da sostanze, da comportamenti, da persone; le dipendenze provocano due tipi di danni, quelli specifici di ogni sostanza e quello trasversale che colpisce la libertà umana; le dipendenze si devono affrontare non tanto con l’arma dell’informazione quanto con la formazione.

 

Il primo punto è molto chiaro. Chi consuma eroina soffre di dipendenza al pari di chi fa le tre di notte sui siti porno o di chi non riesce a distaccarsi da una setta o un rapporto morboso anche quando si comprende la nocività di tale legame. Sempre di dipendenza si tratta, e molti meccanismi di base  sono equiparabili. Tutte le dipendenze, sia da sostanze che comportamentali, prevedono un ventaglio di elementi caratteristici: astinenza (fisica o psicologica), craving (pulsione irrefrenabile), tolleranza (bisogno di aumentare le dosi per ottenere effetti simili),  perdita di controllo sull’uso, aumento del tempo dedicato, difficoltà a smettere nonostante si conoscano o si percepiscano i danni, ecc. Sono tutti aspetti più o meno riscontrabili in ogni tipo di dipendenza.

 

Il secondo punto è meno scontato. I danni della Cannabis sono specifici di questa sostanza, diversi da quelli dell’alcool, diversi da quelli del gioco compulsivo, diversi da quelli della dipendenza dai Social, e così via. Ma ogni dipendenza è letale per quanto riguarda la libertà umana. Ogni persona ha un suo spazio di libertà, che personalmente considero come l’unità di misura del benessere e della salute. Lo spazio di libertà, che è l’ambito soggettivo nel quale noi possiamo esprimere il nostro libero arbitrio e quindi realizzarci pienamente come esseri umani, viene rosicchiato, diminuito e poi alla fine annientato dalle dipendenze. Chi soffre di una dipendenza delega progressivamente la propria vita libera perdendo la capacità di vivere in prima persona  e di esercitare la sua autonomia di scelta. La libertà è ciò che rende l’uomo un Uomo, è il dono di poter discernere dov’è il bene, sceglierlo e farlo, assumendosi tutte le conseguenze a breve e a lungo termine.  E’ ciò che distingue le persone dagli animali, i quali non sono liberi perché fanno quello che l’stinto decide per loro. Qualsiasi tipo di dipendenza soffoca e distrugge la libertà umana e questo ridimensiona di molto le nostre sterili discussioni se ci siano droghe più o meno dannose, comportamenti più o meno rischiosi. Al di là della classifica della gravità delle di dipendenze (classifica comunque senza alcun senso), una qualunque di esse danneggia – a volte irreparabilmente – ciò che abbiamo di più prezioso in quanto esseri umani.

 

Il terzo punto ridimensiona molto l’esagerata attenzione che spesso si dà all’informazione. Ricordiamoci ad esempio che la tanto discussa pubblicità sui pacchetti di sigarette, con immagini shock e scritte minacciose non è servita a nulla, non ha diminuito il fumo in maniera statisticamente significativa e, a quanto risulta, soprattutto giovani e donne hanno aumentato l’abitudine al fumo. Ricordiamo pure che nessuno ha mai incontrato un drogato che non sapesse che la droga è pericolosa, eppure il saperlo non gli è servito a tenersi lontano dall’uso. Forse solo gli adolescenti si avvicinano alle canne davvero convinti che non facciano male e poi ci rimangono sotto. Ma è anche vero che gli adolescenti per principio rifiutano ogni informazione su questo campo e per loro è anzi una sfida dimostrare che sbagli tu. L’informazione al limite serve per gli educatori, per avere dei dati di realtà su cui attrezzarsi, ma quello che fa davvero la differenza è la formazione. Andare a frugare nelle tasche del figlio per vedere se si trova droga, controllare se puzza di alcool o verificare se spariscono soldi da casa. Quando si arriva a questo è già tardi, come pure quando si arriva a dovere guardare nel telefonino per controllare l’uso dei social e quali film vede. Se si deve ricorrere a questo significa che formazione non c’è stata, che la prevenzione non è servita, che gli sforzi educativi hanno avuto delle falle. Non si devono inseguire i figli o gli allievi cercando di fare muro ad ogni dipendenza con la quale possono scontrarsi. Anche perché le dipendenze sorgono come funghi e non si possono prevedere tutti i pericoli con i quali potranno avere a che fare nella loro vita. Quello che davvero occorre fare è fornirgli degli anticorpi che possano entrare in azione al minimo segnale di rischio. Compito della formazione è innamorarli così tanto della loro libertà, appassionarli a decidere con la loro testa, entusiasmarli ad una vita che costruiscono giornalmente con le loro scelte da renderli allergici a qualsiasi proposta che minacci la loro libertà. Solo se avranno una passione smodata e totale per la libertà saranno al riparo da comportamenti, sostanze o legami che la minacciano e la compromettono.

 

Ma come costruire questa formazione?  Prendendo decisioni e aiutando a prendere decisioni rispettando le scelte dell’altro. La capacità di esercitare un discernimento autentico fin da piccoli, non decidere per i figli, ma aiutarli a capire dov’è il bene e dov’è il male a lungo termine per guidarli e sostenerli, non sostituirsi a loro. E una volta che hanno deciso mantenerli fermi nei loro propositi, aiutarli a sopportare anche le conseguenze negative, non farli recedere dei loro impegni. La formazione alla libertà deve risultare centrale nell’azione educativa, altrimenti creeremo generazioni di insicure e fragili prede.

 

Per chiudere il discorso sono stati esposti quelli che sono gli aspetti principali in una pedagogia finalizzata allo sviluppo integrale della persona. Partendo dall’idea che ogni persona nasce con un seme di libertà, per far sì che questo seme diventi un albero pieno di frutti occorrono questi elementi: un terreno che protegga e accolga (la famiglia); concime, dall’odore sgradevole, ma necessario (le esperienze negative spiegate e condivise dall’adulto); l’acqua (i sì e rinforzi); i paletti per crescere diritto (un sistema di regole adeguate); la potatura (i no fermi). La libertà infatti ha bisogno di vincoli, come un fiume ha bisogno di argini alti e forti per non fare danni e per arrivare alla sua destinazione finale nelle migliori condizioni. 

Silvio Rossi