Giornata mondiale dei poveri, nostri benefattori

Luca Fortunato - Responsabile della Capanna di Betlemme di Chieti - Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, parla del suo impegno con i poveri .

 

Perché un laico, un giovane, un “ex-giovane”, una persona adulta dovrebbe avvicinarsi ai poveri, aiutare i poveri? A questa domanda vorrei rispondere con una risposta che mi ha dato un prete, che è don Oreste Benzi: “Se la sera voi non riuscite a prendere sonno, non prendete il Tavor, ma andate alla stazione per incontrare i barboni, e vi passa tutto; prenderete sonno dopo, farete qualcosa di grande e di bello e vedrete che la vita fiorirà; donatevi totalmente!”. Questa è un po' l’anima che mi spinge e spinge tanti tanti giovani e ragazzi, e dobbiamo diffonderla questa cosa. Quando, come Papa Giovanni XXIII, incontriamo i ragazzi, facciamo loro vivere qualche settimana di amicizia, non fanno un servizio, ma condivisione, non servizio, è un passaggio più forte, perché la condivisione contiene la giustizia, cioè tu quella persona la metti al tuo pari. È molto interessante: ognuno ha il suo ruolo, ma la dignità è la stessa, e sta a me fargli capire che la dignità è la stessa, e allora lui si sente meglio. I poveri sono i benefattori, i poveri non sono degli sfigati beneficiari di un servizio, ma i poveri sono dei benefattori; lo ha detto Gesù: “La pietra scartata dai costruttori è testata d’angolo”. Ma noi poi siamo teste dure che non vogliamo ascoltare Gesù, non ci fidiamo di Gesù, lo nominiamo mille volte, ma non accettiamo la sfida che lui ci lancia, perché ci lancia una sfida. Se prendete l’agenda di Gesù, come fosse (e come era) l’uomo più importante del mondo, continuamente in agenda ha l’incontro coi poveri, in agenda ha questo fondamento dei poveri. E quindi anche noi laici, se accettiamo questa sfida che ci lancia il Signore di mettere i poveri come pietra d’angolo, come pietra d’angolo nell’edificazione della nostra felicità, della nostra santità, se noi mettiamo come pietra angolare l’amicizia col povero allora la nostra vita diventa una bomba di felicità. 

Ma perché i poveri sono benefattori? Già quando ascolti un povero, quella persona, nel raccontarti i suoi problemi ridimensiona i tuoi, ti ricorda che sei fortunato, ti ricorda che grazie a Dio hai tutto, che non ti manca nulla, ti fa apprezzare tutto quello che già hai, ti riporta quindi ad una roba vera, alla verità di quello che sei e di quello che hai. Già questo è un primo aspetto che fa essere il benefattore beneficiario; c’è questo segreto che Dio conosce, per questo ci spinge. Dio ancora ci sfida: nella missione di volontario la parola a cui ci si ispira, la prima, dovrebbe essere “ama il prossimo tuo” e non “dagli, dagli, dagli”. Sì, ok, dagli, ma – e in questo don Oreste si è ispirato a san Vincenzo de^ Paoli - quando dai qualcosa a un povero chiedigli scusa, perché sei tu a darglielo e lui non ce l’ha, chiedigli scusa mentre gliela dai perché tu hai di più, chiedigli scusa mentre gliela dai. Che dite, è da folli? È da folli di Gesù, è da innamorati di Gesù. Gesù ci sfida ancora di più nel Vangelo dicendoci “amate quelli che non vi amano”, quindi a chi vuole farsi prossimo lo sfida ad amare come suo fratello, sua figlia, sua sorella il povero che bussa alla coscienza, lo sfida a dargli le stesse cose, la stessa attenzione, a soffrirci insieme. È chiaro che è una sfida. Ma perché Gesù ci sfida? Perché vuole la nostra santità, perché vuole la nostra pienezza, la nostra felicità, e ci dice che quella è l’unica strada. 

Quindi il pensiero di Dio è che l’incontro con l’amico povero e la condivisione con lui della vita è necessario per chi vuol farsi santo, per essere felici, per noi giovani volontari è necessario, anche nella vita da laico, anche per chi ha il proprio lavoro, è necessario, anche per chi lavora sei giorni a settimana c’è un settimo giorno in cui sicuramente c’è l’incontro con Dio nella preghiera, nella Messa, ma dev’essere anche l’incontro con i poveri, è un must, dev’essere un must. Oggi la gente va a fare 3mila cose per trovare la pace, Gesù indica questa via, la via dell’amicizia con Dio nella preghiera e nell’incontro, nella condivisione con i poveri. I poveri sono portatori sani di umanità per farci capire cosa davvero conta nella vita, quindi davvero siamo necessari gli uni per gli altri, c’è questa necessarietà. Delle volte nelle parrocchie invece tutti delegano alla Caritas; sembra che nel vangelo Gesù abbia istituito lui la Caritas e deleghi solo il 5% dei cristiani a prendersi cura dei poveri. Ma non è così! La Caritas non ce la fa da sola. Ogni cristiano ha la delega all’amicizia con il povero, ogni cristiano ha la delega alla condivisione con il povero, perché ogni cristiano ha il diritto e la possibilità di farsi santo; quindi se deleghi sempre, magari anche in Paradiso...non lo so se puoi partecipare. Dio preferisce i poveri, ha per loro un amore preferenziale, sì, ce l’ha, fa preferenza per i materialmente poveri; però, perché siano anche poveri in spirito, lancia una sfida pure a loro. Quale? Di non odiare chi ha più di loro, di non odiare il ricco, di non odiare l’operatore della Caritas che può star loro antipatico, di non odiare: lancia questa sfida, questo compito, cioè che il dolore che hanno per ciò che manca loro non li porti ad odiare, e allora si apre per loro il Regno dei Cieli.