Come un'opera d'arte è la santità!

È in un mite pomeriggio di marzo, di quelli che ti fanno credere che la primavera romana è ormai sbocciata, che conosco Emanuela Vinciguerra, autrice della stele dedicata a Mons. Guglielmo Giaquinta. Ci incontriamo in una delle piazze più belle della Capitale, piazza di Pietra, e davanti al suggestivo colonnato del Tempio di Adriano, lei mi svela come nasce un’idea, prende forma un progetto e diventa un’opera, destinata ad andare oltre il tempo presente e a parlare ai molti che Mons. Giaquinta l’hanno conosciuto, ma soprattutto a quanti vorranno sapere chi era.

Ci racconti come è nata l’idea di creare un’opera dedicata a Mons. Giaquinta e qual è stato il suo processo creativo?

La proposta mi è stata fatta da mia madre, Valeria, e da Loretta Angelini e Carolina Villani. E devo dire che ne sono stata felice, perché affettivamente sono molto legata al Movimento Pro Sanctitate. Ho realizzato la stele sia per amore verso mia madre sia per affetto verso le persone del Movimento che ho conosciuto negli anni. Non da ultimo, ero curiosa di cimentarmi in un progetto nuovo, in qualcosa che non avevo mai fatto prima.

Tu sei una restauratrice?

Sì, e in genere, mi occupo di opere d’arte che già esistono. Quella che ho creato io invece, non la ritengo un’opera d’arte, è una stele. Ma appunto, l’idea di creare qualcosa di diverso mi ha entusiasmata.

Diverso in che senso?

Di solito, la stele è di marmo e non di rado, ha delle foto. Mi sono molto documentata, ne ho viste diverse sia in pietra sia in metallo. E alla fine, ho scelto di lavorare con il metallo, perché lo trovo un materiale caldo e soprattutto, adatto al contesto.

Non deve essere stato facile immaginare qualcosa da inserire in un ambiente già pieno di ornamenti…

È stato fondamentale osservare e studiare il luogo in cui la stele sarebbe stata posta, ossia, lì dove Mons. Giaquinta è sepolto. La Chiesa della Madonna dei Monti è ricca di marmi, di colori e decorazioni. Perciò, sono partita dalla scelta di un elemento cromatico idoneo e ho considerato che il più adatto al contesto potesse essere il bronzo, già presente in alcune colonnine, un colore neutro, capace cioè di inserirsi in ogni ambiente in maniera forte, decisa, ma non invasiva.

Ma il bronzo richiede una lunga elaborazione…

 

Esatto, la lavorazione del bronzo è complessa, non di immediata esecuzione, richiedendo la preparazione di un calco, per non parlare dei costi del materiale in sé. Ecco quindi, che mi è venuto in mente il corten (acciaio Cor-Ten, ndr), un materiale oggi molto utilizzato sia nella creazione di opere d’arte sia in ambito archeologico, proprio per la sua caratteristica peculiare di riuscire a coniugarsi in modo armonico con altri materiali antichi, per il suo aspetto che ricorda il ferro arrugginito.

E cosa ci dici della forma che hai dato alla tua creazione?

Non volevo che la mia stele sembrasse un totem, come quelli di corten che spesso si trovano nei musei. Era importante per me superare la rigidità della forma che lo stesso materiale poteva contribuire a determinare. Ho scelto il profilo della mandorla per il suo significato nell’iconografia cristiana. La mandorla richiama la Madonna e mi è sembrato che fosse un elemento rappresentativo coerente con il contesto in cui è posizionata la stele.

È stato difficile realizzare il tuo progetto?

La parte più complicata è stata quella dell’immagine. Per avere una rappresentazione fedele all’originale, avrei dovuto ricorrere ad una fotografia. Ho dovuto lavorare molto sulle soluzioni per superare il limite di non riuscire ad avere una rappresentazione soddisfacente del volto di Mons. Giaquinta. Alla fine ho scelto di ricorrere alla stampa 3D, grazie a un artista israeliano, che utilizza questa tecnologia per ottenere stampe materiche a partire da una foto. Dunque, una volta scelta la foto, grazie a Maria Luisa Pugliese, la stampante ha permesso di riprendere alcuni tratti fondamentali del volto di Guglielmo Giaquinta, delineandolo, ma non riproducendolo in modo fedele. Questa soluzione secondo me è quella che più si avvicina alla fotografia, al ritratto, ma allo stesso tempo, consente alla stele di mantenere la sua peculiarità e di non sembrare una lapide.

Alla fine, sei soddisfatta del lavoro che hai realizzato?

Sì, è un lavoro che soddisfa le mie attese, anche se sono consapevole che si tratta di un’opera che potrebbe non incontrare le aspettative di tutti coloro che hanno conosciuto personalmente, Guglielmo Giaquinta. Ma la stele è qualcosa che richiede una certa astrazione, va oltre la rappresentazione realistica, va aldilà del tempo passato e del nostro presente, per posizionarsi nel futuro. E nel futuro, immagino che coloro che si fermeranno a guardare la stele, incuriositi, andranno a cercare chi era Mons. Giaquinta, cosa ha fatto, cosa ha seminato. Dunque, sì, sono soddisfatta.

Cosa è per te il Movimento Pro Sanctitate?

Nel mio cammino di fede, sin da bambina, ho sempre pensato che il Movimento, con il suo nome importante, Pro Sanctitate, fosse qualcosa di inarrivabile. Mia madre e le altre persone del Movimento che ho conosciuto sono state e sono per me un esempio nitido di fede vissuta in modo totale, una fede cioè, che pervade tutti gli ambiti e i tempi della vita. Osservandolo attraverso le persone che ne sono testimoni, il Movimento è per me anche un modo di concepire e vivere la vita.

Quale messaggio vorresti inviare a coloro che verranno a vedere la stele che hai creato?

Ho molto pensato alla chiamata alla santità, che io vedevo come qualcosa di lontano, irraggiungibile e invece adesso, anche grazie al lavoro e allo studio richiesto per la creazione dell’opera che ho realizzato, so che non è così. Perciò, vorrei che la stele fosse il mezzo, attraverso il quale ciascuno possa essere certo che può ambire alla santità e costruire nella propria vita piccoli pezzetti di santità in tante realtà quotidiane. Insomma, la santità è per tutti.

 

Serenella Corvo