Cure palliative

Il 19 aprile scorso il movimento Pro Sanctitate romano ha organizzato presso la parrocchia dei Sacri Cuori un incontro sulle cure palliative, un diritto - recitava il titolo - compreso da pochi. Desideriamo esprimere il nostro ringraziamento alle dottoresse Daniela D'Angelo e Michela Guarda, membri della Società di Cure Palliative; a don Raoul Stortoni dell'Ufficio diocesano per la pastorale sanitaria; al parroco don Stefano Matricciani. Grazie a un ottimo mix di competenza professionale e umanità, abbiamo appreso sulle cure palliative più di quanto generalmente messo a disposizione nella comunicazione corrente. Siamo infatti più facilmente raggiunti dalle rappresentazioni di alternative dipinte come ineludibili: eutanasia versus accanimento terapeutico, suicidio assistito versus sofferenze intollerabili, il mainstream ormai ci vuole pronti a schierarci su posizioni di opposti estremismi. Ma i fatti, la realtà, ci dicono altro.

 

Le cure palliative sono state dichiarate per legge un servizio che i cittadini hanno diritto a ottenere su tutto il territorio nazionale, in quanto garantiscono dignità della persona e adeguatezza della cura. Sono state dichiarate LEA, livelli essenziali. Sono infatti "livelli essenziali di assistenza" tutte le prestazioni e le attività che lo Stato ritiene così importanti da non poter essere negate ai cittadini.

Abbiamo ascoltato informazioni e appreso dati scientificamente organizzati, tra le righe abbiamo colto un mondo fatto di umanità e un messaggio fondamentale: inguaribile non è sinonimo di incurabile; la relazione è cura; avere cura è riconoscere non solo l'unicità e la dignità di ogni malato ma anche l'estrema, delicata, preziosa importanza del tempo che avvicina all'istante della vita in cui tutto sarà compiuto. Il tempo da vivere fino alla fine, in un percorso che certamente non è scelto per volontà, può essere accettato e compreso, assaporato ad ogni istante nella sua piena dimensione. Può fare la differenza, anzi certamente fa la differenza tra disperazione e serenità, sentirsi accompagnati, trascorrere questo tempo circondati di cura e affetto, essere noi il "prossimo" di chi ci è intorno, che sia il professionista o il familiare. Anche per chi non è guidato da principii confessionali, dalla fede nella vita eterna, questo tempo è sacro.

È dunque con il rispetto dovuto alle cose sacre che ci avviciniamo al tema della vita e della morte, "levandoci i calzari" come fece Mosè al cospetto del roveto che ardeva senza consumarsi, perché lì era Dio.

 

Come Pro Sanctitate, siamo pronti ad interrogare la vita, ad annunciare la chiamata a vivere in pienezza ciò che dalla vita ci viene donato, senza accontentarci di mezze misure. A un Dio che ci ama infinitamente non possiamo che rispondere con la totalità del nostro cuore, con tutte le nostre pur limitate forze e capacità. Questo, in sintesi estrema ma efficace, è il messaggio che ci è stato affidato dal nostro fondatore Giaquinta, una consegna da trasmettere a tutti. Proprio tutti, perché la chiamata alla santità è universale e riguarda ogni persona, in ogni condizione di vita.

Il santo, in definitiva, è colui che si fida e si consegna alla realtà che Dio ha voluto per lui, qui e ora. Benedice e non maledice, trova il bene anche nelle pieghe della sofferenza, offre un bicchiere d'acqua a chi ha sete, accetta ciò che è stato e ciò che ancora può essere. Allora, possiamo forse sentirci un po' santi anche noi: siamo noi il malato che affronta la sofferenza fisica e psichica, il familiare che lo accompagna, l'infermiere che procura con ogni mezzo sollievo a piaghe e dolori, il medico che si dedica senza fretta al dialogo con il paziente, perché il tempo della relazione è tempo di cura. Siamo anche noi i santi della porta accanto? (secondo una felice espressione di papa Francesco). Se il santo è la risposta di Dio al tempo in cui viviamo, è certamente vero che questo nostro tempo ha bisogno di super-eroi, per affrontare lo strazio della guerra tra i popoli come pure lo scempio della diseguaglianza e dell'oppressione dei poveri: è pur vero però che, oltre a figure di eccezionale statura morale, abbiamo bisogno di donne e uomini appassionati della quotidianità, spinti dal desiderio di fraternità, guidati dal senso del giusto e del buono. In una parola, sempre secondo una bella immagine usata da papa Francesco nella Gaudete et exsultate, "la classe media della santità". Rimanere accanto, curare, andare controcorrente rispetto a una cultura dello scarto che abbandona gli "improduttivi", essere fratello/sorella in relazione fino all'ultimo istante, accettare ogni circostanza come dono di senso e di pienezza: è la santità dei piccoli gesti quotidiani, tante volte testimoniati da "quelli che vivono vicino a noi”. O anche "da noi".

A questo ci rimanda la bella riflessione sulle cure palliative, questa è la traccia nascosta, la chiave di lettura che ci è stata eloquentemente consegnata in una serata densa di partecipazione e di significato.

 

Paola Assenza

 

Pro Sanctitate Roma