La questione antropologica


 Papa Francesco ha dedicato la sua udienza di ieri mercoledì 15 aprile alla catechesi su “un aspetto centrale del tema della famiglia: quello del grande dono che Dio ha fatto all’umanità con la creazione dell’uomo e della donna e con il sacramento del matrimonio”. Il Papa non ha mancato di fare riferimento alla cosiddetta “teoria gender”: “mi domando, se la cosiddetta teoria del gender non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione, che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa”.

Ora, risulta in realtà non facile definire i contorni di questa “teoria gender” che non è un codice di pensiero rigoroso e coerente. Il nocciolo del fin troppo furioso dibattito in corso su questo tema e su quelli affini, tuttavia, penso che possa trovarsi nella convinzione della prevalenza, nella costruzione dell’identità personale di un essere umano, degli elementi di natura culturale – e come tale soggetti ad un esame critico e ad una libertà di valutazione di essi – rispetto a quelli “naturali”, presupposti come dati immodificabili. Insomma quella della identità sessuale sarebbe una “scelta” e non un destino. Da questa convinzione muove l’obiezione, che il Papa apertamente le fa, di voler “cancellare” la differenza sessuale.

Ovviamente, l’emergere di teorie di questo tipo è storicamente spiegabile da un lato per la crescente espansione negli ordinamenti giuridici del concetto di diritto soggettivo, e dall’altro dallo sviluppo tecnologico che rende sempre più possibili spericolati interventi sulla stessa struttura fisica delle persone. Ma detto questo, ciò che più intriga la mia riflessione su queste parole del Santo Padre è l’invito rivolto agli intellettuali a cogliere il nesso che esiste fra il dimorfismo sessuale immagine di Dio, la famiglia suo naturale sviluppo, e infine il legame matrimoniale, da una parte; e lo sviluppo di una società più libera e giusta, dall’altra.

Questo è il punto. Ha detto il Papa, con grande chiarezza: “il legame matrimoniale e familiare è una cosa seria, lo è per tutti, non solo per i credenti”.

Ma perché?

Perché? Questa domanda non è oziosa e interroga profondamente i credenti. Non è poi tanto raro, infatti, imbattersi in cattolici che, rispettosi dell’autonomia e della laicità dello Stato, ritengono di non doversi pronunciare, in quanto tali, sull’andamento per esempio di disegni di legge che modifichino l’istituzione della famiglia nell’ambito civile, con l’argomentazione che per noi comunque essa resta quella che è sempre stata, fondata sul sacramento del matrimonio. Grave, direi fatale, errore di argomentazione.

Se infatti è verissimo che non si può costringere ad una disciplina giuridica fondata sulla religione, è altrettanto vero che una comunità deve disciplinare per legge il comune sentire rispetto a questo o ad altri temi, a prescindere dalla fonte di esso. In altre parole, nel nostro caso, si tratta di avere una certa concezione dell’uomo, una visione antropologica, e di difendere l’edificio normativo posto a sua tutela. Poco rileva che essa si sia formata sulla base di convinzioni religiose o per altri motivi. È

ben per questo che il Papa esorta a considerare che qui si parla di una cosa seria per tutti, non solo per i credenti. Di una cosa seria per ognuno, ma anche, anzi soprattutto, “per tutti”: cioè per la dimensione sociale.

Il punto è che nessuna società umana di cui si abbia memoria si è mai regolata, nel campo dei legami familiari, su un semplice riconoscimento della comune volontà dei soggetti. Ad essa, si è sempre e in ogni caso aggiunta una valutazione sociale, e precisamente la constatazione della utilità, da parte della società, a rafforzare questa comune volontà definendo la sua tutela come di interesse pubblico. Qui è il discrimine. La libertà dei soggetti può ben autodeterminare i loro comportamenti e pretendere che la società si arresti di fronte alla loro volontà. Ma non può, viceversa, ritenere meritevole di una speciale tutela da parte delle strutture pubbliche qualunque scelta da essi compiuta. Tutela che andrà quindi vagliata alla luce del preminente interesse pubblico. In altre parole, alla luce dell’obiettivo ricordato dal Pontefice, di avere una società più libera e più giusta dove la giustizia si riflette nel perseguimento dell’equità sociale.

E qui, logicamente, si riaccende ancora un altro quesito. Di fronte alla difesa della “famiglia tradizionale” (termine che meglio sarebbe sostituire con “famiglia negli ultimi cinquecentomila anni di storia umana”) si viene infatti accusati proprio di volere operare discriminazioni.

Ora, se si ha una concezione della natura e una antropologia fondate sulla totale manipolabilità di entrambe, l’accusa di discriminazione trova un suo fondamento logico, in quanto anche il significato di “libertà” viene in tale concezione inteso come allargamento potenzialmente infinito delle proprie possibilità; la giustizia stessa diventa in tal caso nient’altro che la tutela di tale allargamento.

È appena il caso di dire che questa non è la nostra concezione: aggiungendo che una tale visione inevitabilmente finisce per attaccare i cardini della stessa società liberale, perché non riesce, in modo autonomo, a stabilire le modalità di contemperamento “delle” libertà in una dimensione sociale.

Se viceversa si ha della natura - e della antropologia ad essa correlata - una concezione che parta dal “dato” di essa come spazio per l’uomo e non dell’uomo l’accusa di essere illiberali e discriminatori viene totalmente a cadere. Non è necessario essere cristiani o credenti per ritrovarsi su questa sponda. E ancora una volta, è per questo che il Papa si è rivolto anche ai non credenti. Per fare qualche esempio, è sufficiente ricordare come l’odierna sensibilità ai problemi ambientali, e il suo apparato filosofico di sostegno, muovono da una concezione antropologica di fondo di questo tipo. Le stesse dichiarazioni più o meno “universali” dei diritti dell’uomo che si sono succedute nei secoli, da Antigone alla fondazione delle Nazioni Unite, sono fondati su una natura e una natura umana “date”, e anzi concepite come postulato su cui far valere il “teorema” conseguente dei diritti inalienabili dell’uomo: in nessun caso collegati, a livello teorico, con la sua capacità di potenza, con la sua capacità di manipolazione, che anzi viene definita appunto inaccettabile. Ed effettivamente, gli esperimenti storici che hanno ritenuto di discostarsi anche massicciamente da questa filosofia della natura e dell’uomo non hanno dato fino ad ora gran prova di sé nel comune sentire.

È quindi perfettamente logico e altamente opportuno che il Papa colleghi la famiglia con l’obiettivo di una società più libera e più giusta. Quello stesso dimorfismo sessuale che, oltre ad essere immagine di Dio è, più prosaicamente, scuola di socialità in re ipsa; la dimensione educativa propria della famiglia, identificata in ogni tempo dalla società umana come “utile” ad essa non solo per l’ovvio motivo delle continuità biologica ma altresì come imprescindibile luogo di “formazione sociale” e identitaria; proprio questi sono i presupposti di una libertà intesa non come volontà di potenza ma come sviluppo della personalità in una dimensione “sociale” senza la quale, semplicemente, l’uomo non è uomo, come ci attestano non solo il testo biblico richiamato da Papa Francesco, ma gli univoci risultati di qualunque scienza.

Si diceva, ed è vero, che noi non siamo necessariamente soli in questa filosofia, che è anzi largamente prevalente come in ogni tempo lo è stata. Il problema di natura culturale e certamente politica è di continuare ad esercitare la razionalità, evitando di rendere feticci, o per meglio dire in termini cristiani veri e propri idoli, delle postulazioni della libertà che ben poco hanno a che fare con essa.


P.S. Mi permetto, a semplice titolo di esempio, di indirizzare il lettore a quanto si legge su http://bfp.sp.unipi.it/rec/biohaber.htm: è un appunto del “Bollettino telematico di filosofia politica”, ospitato presso il Dipartimento di Scienze della politica della Facoltà di Scienze politiche dell’università di Pisa, e ha per oggetto il libro del filosofo tedesco Jurgen Habermas, “Il Futuro dell’uomo. I rischi di una genetica liberale”. Pur non avendo per oggetto il matrimonio e i temi specifici dell’odierna catechesi del Papa, esso costituisce un perfetto esempio di quanto, nei termini filosofici di fondo, la nostra non sia affatto, come spesso si sente dire, una posizione retriva irrimediabilmente condannata dallo sviluppo scientifico e tecnologico. In realtà, questa partita “per” l’uomo è ancora tutta da giocare e noi non siamo soli.

 

16/04/2015

Alberto Hermanin