COSI’ SI RACCONTAVA PADRE GUGLIELMO …
Più che “narrare” padre Guglielmo, ci sembra assai più efficace lasciare la parola a lui che, già avanti negli anni, tornava volentieri ai primi passi della sua vocazione e del suo sacerdozio; consegnava così ai posteri gustosi aneddoti del suo vissuto, insieme a originali e profondi spunti di riflessione. Sono trafiletti di suo pugno, pubblicati nei primi anni Novanta dal periodico “Il massimalismo”, nella rubrica intitolata “Il sacerdote lo conosci tu?”, che ora di buon grado riproponiamo in questa sede, per allargarne la condivisione, per dilatarne la risonanza. Per riandare con gioia alle radici del carisma “pro sanctitate”.
La rubrica "Così si raccontava padre Guglielmo Giaquinta", curata da Marialuisa Pugliese, Postulatrice della Causa di beatificazione del Servo di Dio, avrà cadenza settimanale a decorrere dal 15 luglio 2017.
Più che “narrare” padre Guglielmo, ci sembra assai più efficace lasciare la parola a lui che, già avanti negli anni, tornava volentieri ai primi passi della sua vocazione e del suo sacerdozio; consegnava così ai posteri gustosi aneddoti del suo vissuto, insieme a originali e profondi spunti di riflessione. Sono trafiletti di suo pugno, pubblicati nei primi anni Novanta dal periodico “Il massimalismo”, nella rubrica intitolata “Il sacerdote lo conosci tu?”, che ora di buon grado riproponiamo in questa sede, per allargarne la condivisione, per dilatarne la risonanza. Per riandare con gioia alle radici del carisma “pro sanctitate”.
La rubrica "Così si raccontava padre Guglielmo Giaquinta", è stata curata da Marialuisa Pugliese, Postulatrice della Causa di beatificazione del Servo di Dio.
Sognavo, da bimbo, imprese più grandi di me che mi portavano nel regno fatato di regine, imperatori e pirati. Più tardi fu l’impresa di Teresa la grande, che fuggì per convertire i Mori, che mi attrasse. Più tardi ancora l’esempio della piccola carmelitana di Lisieux avvinse il mio animo giovanile: soffrire come lei, offrire come lei, per potere, come lei, morire in un’ estasi di amore per la salvezza delle anime.
Morire giovane, morire vittima, offrire la propria vita a tale scopo: mi sembravano le mete luminose verso le quali dovevo indirizzare i miei sforzi. E il flebile lamento di Gesù agonizzante sulla croce risuonava al mio animo come l’invito ad offrirmi generosamente vittima per i fratelli.
Gli anni passarono e i sogni sfiorirono. Morire giovane non era più possibile e offrirsi vittima alla divina giustizia rimaneva come ideale altissimo ma sproporzionato alla viltà che si era sviluppata, connaturata al mio carattere. Ripiegare dunque su una posizione di mediocrità e contentarsi di camminare costa costa, senza azzardarsi a tentare le scalate delle vette luminose, ma troppo ripide?
Fu l’amore redentivo che dette la soluzione definitiva alla mia anima. L’analisi dei sentimenti del Cuore di Cristo mi portò al centro della sua anima e lì trovai che in Lui, Verbo Incarnato, tutto era in funzione della salvezza delle anime. Per esse Egli si era incarnato ed aveva vissuto lunghi anni nel nascondimento di Nazareth; per esse si era stancato lungo i sentieri montani o pianeggianti della Palestina ed aveva predicato, moltiplicato miracoli, passato notti insonni; per esse era morto sul duro legno della Croce ed era infine risorto.
Guardavo, passeggiando lungo la stanza, i vecchi libri sistemati con cura nei numerosi scaffali. Quanti ricordi, quanta nostalgia. Anni passati che mi sembrano ieri, che però sono ormai troppo lontani.
Sono anziano, sono malato e non posso più leggere e studiare. Mi rimane solo qualche stralcio di tempo in cui scribacchiare qualche riga. Da qui il senso di pungente nostalgia, assieme ai tanti ricordi.
Sono nato in una cittadina della Sicilia, a Noto, 75 anni fa, e sono venuto a Roma quando ero ancora bambino: avevo dieci anni; dopo qualche anno sono entrato in Seminario.
Mi sono sentito talmente romano (facevo anche le poesie in romanesco), che gustavo la gioia di non essere più tornato in Sicilia; fatto strano, direi superbia infantile o giovanile! E’ durata fino al 1950 questa mia “romanità”, per cui non avevo più avuto contatti con la Sicilia; poi, nel ’51 mi sembra, sono dovuto tornarvi per una causa matrimoniale (a quel tempo ero ufficiale del Tribunale matrimoniale del Vicariato).
Si è oggi tentati di pensare, dopo certi incontri con alcuni sacerdoti, alle confessioni a gettoniera, quando poi non succede di peggio, per esempio: Da quanto tempo si è confessato? Da quindici giorni. Ma allora perché torna così presto? Basta un atto di dolore!
Scena questa non ipotetica, che sottende una certa concezione infiltratasi tra alcuni membri della Chiesa dopo il Vaticano II.
Un amico è come l’aria: la usi, ne godi, ma ne avverti l’importanza solo quando ti viene a mancare. Ho compreso questo soprattutto nel caso di don Teodoro. Più grande di me di parecchi anni, uomo ecclesialmente affermato dinanzi a me ancora giovane e immerso nei miei studi di diritto, pieno di esperienza pastorale ma di una estrema semplicità, ha inciso profondamente nella mia vita apostolica.
Venuto come un piccolo implume nella parrocchia della Madonna dei Monti, trovai nella vicinanza di don Teodoro la mia più profonda vocazione di confessore e direttore spirituale.
Era il 17 marzo sera e avevamo appena terminato gli esercizi in preparazione all’Ordinazione sacerdotale. Di stanchezza ce n’era più che a sufficienza, e da qui il desiderio e la speranza di un sonno ristoratore. Avevo però il cervello troppo lucido e un cuore in attesa del grande momento.
Mi misi a letto, ma di dormire non se ne parlava. Mezzanotte, l’una, le due, e cominciai a sentirmi male. Il cuore aveva degli strani sussulti, che solo poi seppi essere delle extrasistole.
Ho ancora nella memoria il racconto delle tante “trovature” di tesori sepolti che la mia mamma mi faceva. E lei, sulla verità di quei presunti fatti, ci avrebbe giurato. Non solo di questo parlava. A volte sentivo racconti, non certo edificanti, del prete X e del canonico Z. E anche su questo essa avrebbe giurato.
Povera mamma mia, cosa sapeva lei del vero volto del prete? E comprendo, così, perché fosse per lei inconcepibile che proprio uno dei suoi figli volesse prendere la strada del sacerdozio. Il prete non lo conosceva ancora.
Gli Apostoli rimasero stupiti e interdetti quando Gesù parlò della legge della indissolubilità matrimoniale. Allora è meglio non sposare! Ma chi può affrontare il rischio di una solitudine assoluta: senza una compagna, né dei figli propri? Chi può rinunciare ad un focolare e alla gioia della intimità domestica?
Gli apostoli non si posero il problema, ma Gesù volle risolverlo ugualmente. Ci sono delle creature – ed Egli li chiama “gli eunuchi per il regno dei cieli” – che hanno da Dio la chiamata e la grazia di affrontare un tale sacrificio con i rischi conseguenti.
Il vento, in genere, scuote ma non calpesta il germoglio del prato; questo invece può farlo chi vi passa sopra con piede incauto. Credi tu che la vita di un giovane che arrivi al sacerdozio sia priva di ostacoli e di difficoltà?
Entrare in seminario era troppo arduo per le finanze della mia famiglia e iniziai così il semiconvitto. Il che significava alzarmi prestissimo e poi raggiungere le scuole presso S. Pietro. Al ritorno prendevo il tram 36 che mi lasciava a Porta Maggiore dove salivo sulle “vicinali” (o andavo a piedi) per raggiungere la mia casa.
Una sera, sceso dal tram, mi misi a sedere su una panchina di pietra, con la mia borsa di scolaro. Perché? Non lo ricordo più. Mi si avvicinò un anziano sacerdote e si mise a sedere accanto a me, chiedendomi gentilmente chi fossi e che facessi. Gli raccontai, gioioso, la mia storia ed egli mi ascoltò in silenzio.
Lo guardi ammirato e ti chiedi: ma quel seme chi l’ha portato in questa zolla? Forse il volo di una farfalla o di un uccello o l’impeto del vento autunnale. Forse, ma non lo sai. Conosci tu come spunta la vocazione sacerdotale? E’ un mistero e ora voglio raccontarti il mio mistero.
Frequentavo con gioia la mia parrocchia, sul Casilino, e anzi ero anche esploratore. Ma di farmi prete non se ne parlava. Dovetti iscrivermi tra gli avanguardisti, e ogni volta che passavo davanti alla mia chiesa sentivo uno struggimento nell’anima. Ma di farmi prete neppure l’ombra.
Imparai a marinare la scuola e santificavo l’assenza raccogliendo francobolli vecchi per le missioni. Ma di farmi prete non se ne parlava. La marachella urtò mio padre, il quale decise di mettermi a scuola dai preti. Cosa strana: nell’istante in cui io varcai la soglia di quella scuola ebbi la certezza che dovevo diventare prete. Certezza che non è più svanita.
Più che “narrare” padre Guglielmo, ci sembra assai più efficace lasciare la parola a lui che, già avanti negli anni, tornava volentieri ai primi passi della sua vocazione e del suo sacerdozio; consegnava così ai posteri gustosi aneddoti del suo vissuto, insieme a originali e profondi spunti di riflessione.
Dal 15 luglio 2017, diteloatutti.net dedicherà una rubrica in cui rileggere, scoprire ed apprezzare i trafiletti che padre Guglielmo Giaquinta scriveva di suo pugno, e che vennero pubblicati nei primi anni Novanta dal periodico “Il massimalismo”, nella rubrica intitolata “Il sacerdote lo conosci tu?”